La Chimera
Un film di Alice Rohrwacher. Con Josh O’Connor, Carol Duarte, Vincenzo Nemolato, Alba Rohrwacher. “Un film al contempo arcaico e postmoderno, completamente libero come sa essere il cimema di Alice Rohrwacher” Anni Ottanta. Arthur ha un talento raro: riesce a percepire, come un rabdomante, la presenza delle tombe etrusche che costellano il litorale tirrenico, virtù apprezzata dai suoi amici tombaroli in cerca di reperti da rivendere al mercato nero. Ma mentre loro inseguono un profitto di sopravvivenza che non li renderà mai ricchi (perché quello è il “talento” dei grandi trafficanti), “l’inglese” è alla disperata ricerca di un passaggio verso l’aldilà che potrebbe ricongiungerlo a Beniamina, la ragazza che ha amato e perduto. Italia, a dispetto del nome, è straniera come Arthur, ed è l’unica in grado di accendere nel giovane uomo un nuovo interesse per la vita. Va a stanarlo sulle pendici della città, dove vive in una baracca che solo lei trova bella, e solleva il suo sguardo da quella terra che lo attira come un magnete. Italia è anche l’unica ad intravvedere, fra gli incroci dei rami che paiono bacchette da rabdomante, il fantasma di certi uomini appesi a testa in giù, rivolti verso il mondo di sotto come Orfei irresistibilmente attratti da una loro Euridice. Anche il formato diviso in tre – 16mm, super 16 mm e 35mm – testimonia la libertà espressiva dell’autrice di scegliere ciò che le è utile a narrare, ponendosi come unico imperativo l’aderenza totale alla storia e ai personaggi. Nel suo immaginario si rintracciano Pasolini, il Fellini di Roma (gli affreschi che cambiano colore quando viene scoperchiato il loro nascondiglio) e di La dolce vita (la statua che sorvola il mondo) e la visionarietà “femminile” di Lucrecia Martel, ma non c’è nulla di rielaborato e tutto di restituito a quel territorio, e quel cinema, saccheggiato dai suoi stessi abitanti, più che dagli “stranieri”. Fra gli interpreti spiccano Isabella Rossellini nei panni di Flora, l’anziana insegnante di canto, accompagnata da uno straordinario coro muliebre, che non si arrende alla perdita della figlia Beniamina, e Vincenzo Nemolato nel ruolo di un tombarolo guascone. Soprattutto si libra come un uccello Carol Duarte, l’attrice brasiliana già straordinaria ne La vita invisibile di Euridice Gusmao, che interpreta Italia, cantante “stonata” solo perché segue un suo spartito interiore. Questa compagnia di giro attraversa una storia picaresca e celestiale dove il celeste è il colore dominante (e celeste era il Corpo del film di esordio di Rohrwacher, dal quale ha ripescato Yle Vianello, che qui incarna Beniamina) ed è fatto di un cielo attraversato da quegli uccelli che trasformano noi spettatori in àuguri intenti a interpretare il loro volo. Il film di Rohrwacher attraversa un’Italia nel processo di essere svenduta agli stranieri ma in cui due stranieri sembrano gli unici a volerne conservare il mistero, ci aiuta a “stimare l’inestimabile” e a rivendicare la tutela delle “cose che appartengono a tutti” perché la proprietà non deve essere necessariamente possesso. E il suo cinema si conferma contemporaneamente arcaico e postmoderno, nonché capace di inventare parabole agresti che presagiscono, come il migrare degli uccelli, la transizione verso il degrado a seguire. (MYmovies) |