Miserere

Mer 22/1 ore 20.30
Gio 23/1 ore 20.30
Ven 24/1 ore 20.30

Cineforum, primo ciclo. Ingresso anche con biglietto.
È aperto il tesseramento per il secondo ciclo. Tessere disponibili alla cassa.

Un film di Babis Makridis. Con Yannis Drakopoulos, Evi Saoulidou, Nota Tserniafski, Makis Papadimitriou, Georgina Chryskioti.
Drammatico, durata 97 min. – Grecia, Polonia 2018.

“Di un umorismo irresistibile, prima di suscitare una tristezza inconsolabile, Pity muove da un’idea di partenza originale e intrigante che rimane coerente fino alla fine.”

Un uomo singhiozza disperatamente (soddisfatto) ai piedi di un letto. Da quando la moglie è in coma, sperimenta la pietà del mondo: la torta della vicina ogni mattina, la solidarietà dell’impiegato della tintoria a ogni capo smacchiato, gli abbracci della segretaria a ogni congedo, l’affetto di un amico dopo ogni partita a racchettoni, gli incoraggiamenti del padre a ogni visita. Quel sentimento di commossa e intensa partecipazione umana lo appaga pienamente ma poi la consorte si risveglia e la vita torna a sorridergli gettandolo nello sconforto più totale. Infelice all’idea di essere felice per sempre, cova l’impulso malato di ricadere in ambasce. Per riavere di nuovo un briciolo di misericordia è disposto a tutto.
Negli ultimi dieci anni, un gruppo di (giovani) autori ha realizzato film detonanti, premiati nei grandi festival e osannati dalla critica, che ha parlato addirittura di nouvelle vague greca. La loro ellenicità, radice spirituale dell’Europa, è del resto la promessa di una vocazione innata per creare miti.
Meno conosciuto di Yorgos Lanthimos, ma altrettanto velenoso e provocatore, Babis Makridis cavalca quest’onda e un immaginario surreale che destabilizza. Il filtro impiegato dal regista è quello dell’assurdo. Di un umorismo irresistibile, prima di suscitare una tristezza inconsolabile, Pity muove da un’idea di partenza originale e intrigante che rimane miracolosamente coerente fino alla fine. L’impresa non è facile per lo spettatore ma se ci si lascia andare all’esperienza il film mantiene le premesse dispiegando un immaginario più grande che altrove, uno sguardo inquieto sull’umanità. La ricerca di (in)felicità del protagonista, everyman dipendente dalla pietà del titolo, è presa seriamente, fino alla follia e alla morte (arrecata).
La sua vita si consuma come in una tragedia greca, dove gli umani diventano animali, si cavano gli occhi per vedere meglio o praticano l’omicidio sacrificale per scaricare una violenza altrimenti distruttrice di qualsiasi consorzio umano. L’esercizio di deformazione del quotidiano costituisce l’anima di una commedia nera sotto un cielo blu e davanti a un mare brillante. Pity esplora con attitudine solare un racconto oscuro e un personaggio mediocre il cui ego risplende quando è al centro della compassione.
Ai grandi eroi, Makridis preferisce il ritratto di una persona piccola piccola che vorrebbe esplorare tutte le possibilità della sofferenza, rimanendo sempre coerente e fedele a se stesso. L’avvocato di Yannis Drakopoulos si sente bene nella sua miseria ma la sua vita da sogno è minacciata dalla gioia. Il tormento emozionale del nostro, masochista e prossimo alla depressione, precipita il film nel grottesco e apre una breccia su un mondo parallelo che assomiglia alla realtà, naturalmente più sordida e insensata.
Scritto con Efthymis Filippou (The Lobster, Il sacrificio del cervo sacro), Pity mette in scena un personaggio tragicomico di cui ignoriamo il nome e di cui interroga l’esistenza prigioniera dell’ambiente perfetto e asettico della classe di appartenenza. La sua condizione, sociale e professionale, non gli garantisce tuttavia quel bisogno primario appagato soltanto dalla pietà che provoca negli altri. L’assurdità delle situazioni contrastano col volto impassibile dell’attore, come il movimento allegro di Mozart (Sonata in Do Maggiore K. 545) col suo requiem (Sequentia: Lacrimosa).
Afflitto dalla buona sorte e senza più lacrime da versare a ragione, il protagonista affonda nella contemplazione della sua solitudine e della sua incapacità di avanzare. L’uomo senza nome esiste solo attraverso la propria ossessione. Quello che manca al personaggio, tossico della solidarietà lamentosa, è in fondo la volontà di vivere che come un naufrago ritorna dal mare. Una ‘scrollata’ incontenibile di vita che bagna l’ultimo campo e sigla la débâcle di un uomo ordinario. (mymovies)