Mózes, il pesce e la colomba

Gio 31/3 ore 20.30
Ven 1/4 ore 20.30

Cineforum, ingresso anche con biglietto.

Un film di Virág Zomborácz. Con Márton Kristóf, László Gálffi, Eszter Csákányi, Andrea Petrik, Krisztina Kinczli.
Commedia, durata 95 min. – Ungheria 2014.

“Virág Zomborácz coglie con leggerezza il disagio esistenziale di un personaggio alla ricerca del suo posto nel mondo”

Mózes è il figlio di un pastore protestante e rientra a casa dopo un periodo di ricovero per problemi psichici. Il suo rapporto con il padre non è facile: l’uomo è autoritario e tiene sotto controllo la famiglia formata dalla remissiva moglie, dalla sorella di lui e da una figlia adottiva introversa. Quando il sacerdote muore il figlio prova a cercare un proprio percorso autonomo ma il fantasma paterno lo segue, dapprima in silenzio e poi tornando a parlare. Sarà mai possibile liberarsene?
Spesso i titoli imposti dalla distribuzione italiana dei film stranieri sono, come si sa, fuorvianti perché troppo fantasiosi o perché fanno un nocivo spoiler (un esempio per tutti Miracolo a Le Havre in cui il vocabolo ‘miracolo’ anticipa il finale del film). In questo caso invece a un film il cui titolo in ungherese significa “dopo la vita” viene data una connotazione simbolica che accosta il protagonista a due animali che assumono un valore particolare rilevante nella vicenda. Ad essi si aggiungerà un cane che ci riporterà alla fisicità più estrema.
La regista trentenne non ha pretese sociologiche ma vuole descrivere, riuscendoci, un disagio esistenziale che colpisce un personaggio che cerca il proprio posto in ‘questa vita’ ma che si vede frapporre un numero decisamente alto di ostacoli. Il rapporto con la figura paterna è un macigno che pesa sulla sua personalità ancora in formazione non tanto sul piano religioso (è un sacerdote piuttosto ruvido e pragmatico) quanto su quello di una totale svalutazione di qualsiasi possibile talento del figlio per il quale non nutre alcuna fiducia in un futuro possibile.
Non è facile descrivere una situazione così complessa come un rapporto padre-figlio in cui uno dei due vaga in una sorta di limbo non rinunciando però a una presenza quasi parassitaria ma Zomborácz sa cogliere con leggerezza i bisogni di Mózes così come le sue pulsioni in un contesto familiare (e non) che lo considera il minus habens della situazione. Solo una ex tossicodipendente saprà stargli vicino e dargli qualcosa che possa vagamente assomigliare all’amore. Citando Haruki Murakami si potrebbe dire che per il giovane protagonista “il futuro significa perdere quello che si ha ora e veder nascere qualcosa che non si ha ancora”. Con tutti i rischi del caso.
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