Napoli velata

Sab 13/1 ore 20.30
Dom 14/1 ore 20.30
Lun 15/1 ore 20.30

Un film di Ferzan Ozpetek. Con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Anna Bonaiuto, Peppe Barra, Biagio Forestieri.
Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 113 min. – Italia 2017. 

“Complicato da interpretare e da decifrare, carico di suggestioni e libero dalle confortanti ossessioni che attraversano le sue storie”

Comincia con un sinuoso movimento della macchina da presa che riprende la tromba delle scale di un palazzo d’epoca Napoli velata, quasi fosse un omaggio al cinema di Alfred Hitchcock. Prosegue con una bambina che assiste a un delitto come in un giallo italiano degli anni ’70 nel quale la protagonista è donna. Pare incantarsi quindi a guardare, da dietro a un velo, una “figliata” allestita in un salotto borghese, barocco e poco illuminato dove la gente è ben vestita ma si guarda sfacciatamente, impunemente, senza filtri né trasparenti sipari in mezzo. Infine – perché poco di più vogliamo e possiamo raccontare – il film diventa una lunga, intensa e bellissima scena d’amore, e da questo momento in poi altre due tessere si aggiungono al “mosaico noir” di Ozpetek: quella del melò e quella dell’incantamento di fronte a una nuova città, carnale, pagana, enigmatica, dionisiaca, mediterranea e soprattutto “femmina” in quanto opulenta, inafferrabile e soprattutto accogliente come il grembo di una madre che coccola i suoi figli: anche quelli distanti, o smarriti o fuori controllo.
E’ da Napoli e dalla sua osservazione che è partito il regista turco per girare il suo film certamente più complicato da interpretare, da decifrare, carico com’è di suggestioni e libero dalle confortanti ossessioni che attraversano le sue storie. C’è meno cibo, per esempio, nell’anti-Gomorra dell’artista che dopo una Istanbul dai tramonti aranciati ma troppo rumorosa ha scelto un posto non meno “agitato” e caotico ma più raccolto: la mente di Adriana/Giovanna Mezzogiorno. E c’è più solitudine: la solitudine di chi dorme da solo e ha bisogno di affetto, di chi non ha più i genitori e di un corpo diventato cadavere disteso su un tavolo operatorio e “motore” di una doppia indagine da compiere. Ma non è il rompicapo legato all’infausto destino di questo morto né la scoperta del grande rimosso di un altro personaggio che rendono problematici il giudizio e l’analisi. Il fatto è che Napoli velata è talmente ipnotico, viscerale e avvolgente che diventa “un’esperienza estetica” così forte da far passare in secondo piano le poche cose che non vanno. E’ questo è un bene, ma anche un ostacolo per chi deve uscire da una materia tanto incandescente possibilmente non “sbruciacchiato” e in possesso di un’opinione chiara.
Ma in fondo è così importante averla? Il sortilegio deve per forza svanire? No, l’importante è saper riconoscere che Ozpetek il cinema lo sa fare e che parla una lingua per immagini potentissima, che in Napoli velata ci trascina, insieme alla protagonista, in scenari davvero suggestivi: Il chiostro del Museo di San Martino dove si gioca alla tombola vajassa, la scalinata della Farmacia degli Incurabili o la Cappella del Principe di San Severo, dove è esposto il Cristo Velato e le donne sono ora un coro amico ora le streghe di una favola nera. Queste scene sono tableaux vivant avvolgenti ed evocativi, che un po’ fanno pensare a certe sequenze de La grande bellezza, al rituale del botulino con la sua aura di morte, per esempio, con la differenza che a Roma la morte è solenne e nera, mentre a Napoli è sempre oggetto di un consapevole sberleffo.
I paragoni con il film di Sorrentino però finiscono qui, anche se in entrambi i viaggi “in terra straniera” di registi che vengono da scenari altrettanto vibranti di vita c’è un Cicerone, una guida che, mentre va e ci porta, si osserva. Quella di Napoli velata procede di pari passo con Ferzan Ozpetek e insieme, di tanto in tanto, sembrano perdere la strada, e anche Napoli velata la smarrisce, e si smarrisce (o meglio trova sensi vietati e strade senza uscita), e la colpa, paradossalmente, è di quel genere thriller – introdotto nel primo fotogramma e riabbracciato fino all’inaspettata conclusione – che è insidioso perché non perdona chi non rispetta in pieno le sue regole e non fornisce una corretta e ineccepibile spiegazione dei fatti. E qui non tutto viene spiegato.
Quanto al mistero di Adriana, il film magari non lo coglie fino in fondo, ma c’è una cosa che Napoli velata racconta benissimo: quell’istante in cui una donna si libera dal senso del dovere e dalle proprie rigidità e si dischiude alle passioni, all’istinto e al bisogno di sentirsi sensuale, e allora, all’improvviso, tutti la notano, e la guardano, e la desiderano, e colgono il suo lasciarsi andare. Adriana nel film si lascia andare, e con lei Giovanna Mezzogiorno, mai così sinuosa, centrata e bella. Speriamo che non aspetti altri quattordici anni per tornare a lavorare con Ozpetek. E non dimentichiamo Alessandro Borghi, che come Re Mida trasforma in oro tutto quel che tocca: nel caso specifico un personaggio non certo semplice da interpretare e monocorde. (comingsoon)