Rosso Istanbul

Sab 11/3 ore 20.30
Dom 12/3 ore 20.30
Lun 13/3 ore 20.30

Regia di Ferzan Ozpetek. Con Halit Ergenç, Tuba Büyüküstün, Nejat Isler, Mehmet Günsür, Cigdem Onat, Serra Yilmaz.
Commedia – Italia, Turchia, 2017, durata 115 minuti.

“Ferzan Ozpetek torna nella nativa Turchia per mettere in scena il romanzo che ha dedicato alla madre.”

“Niente è più importante dell’amore” – recita il manifesto di Rosso Istanbul – mentre sul libro del 2013 che ha ispirato il film si legge che in amore “è meglio una scia bruciante, anche se lascia una cicatrice, ed è meglio l’incendio di un cuore in inverno”. Meglio l’intensità di sentimenti, dunque, della freddezza e dell’anaffettività – suggerisce Ferzan Ozpetek sulla carta e attraverso le immagini, e questa convinzione è il fondamento, anzi il tessuto, del suo cinema e in particolare dei suoi personaggi: mai di pietra, costantemente appassionati, a volte attraversati da un malinconico struggimento e comunque sempre pronti a mettersi in gioco, preferibilmente intorno a un tavolo o nell’instancabile attività di rammentare un passato con cui bisogna fare i conti. E preferibilmente in una forma di narrazione che si identifica con il melò.Ora, l’undicesimo film del regista turco, che non lavora in patria da vent’anni, ha poco del melò, forse giusto i colori, a cominciare da quel rosso che si mescola al blu del mare e del cielo nei tramonti di una città interiorizzata come l’abbraccio caldo di una madre. No, La vicenda dell’editor Ohran Sahin che torna a casa e suo malgrado ricorda con dolore infelicità rimosse e riprende a “funzionare emotivamente” è altro, è un’opera molto più complessa e sofisticata, un racconto profondamente intimo e per questo vero e sentito, oltre che nuovo nel panorama delle storie inventate dal buon Ferzan.
Senza appoggiarsi alla trama di un romanzo non abbastanza “visivo” ma di sicuro appeal per il suo essere strabordante di brandelli di un tempo andato intenso di cui è bello leggere, Ozpetek rompe le righe di un cinema dell’agire e del parlare e tenta un cinema dell’ascoltare e del guardare. Intrappolato nella vita, nei legami e nei ricordi di un altro, il suo protagonista “non fa” e “non dice”, si scambia sì la pelle con l’altro, però nello stesso tempo si mette da parte, perdendosi nei legami e nella memoria delle persone che ha intorno per rompere il guscio che gli ha intrappolato il cuore. Non è un percorso statico il suo, perchè espressivi sono gli occhi di Halit Ergenç e perchè in Rosso c’è una tensione che serpeggia dall’inizio alla fine, complici la sparizione di Deniz, un’ambientazione niente affatto tranquillizzante e una figura maschile che infila sciaguratamente i piedi nelle scarpe del suo doppio letterario.
Eppure, a un certo punto, qualcosa si ingarbuglia. Colpa del gioco di rimandi troppo complicato? O della moltiplicazione degli alter-ego di Ferzan Ozpetek (un ex scrittore incaricato di correggere il romanzo di un regista diventato scrittore)? Succede inoltre che alcuni personaggi si perdano, brillando per un attimo e poi offuscandosi, oppure rimanendo in bilico. Ma questa sospensione, ne siamo certi, è voluta, ed è in accordo con quella di Istanbul, che, allo stesso modo del revisore dagli occhi azzurri, cerca la sua identità. Più che inserire l’ex Costantinopoli in un discorso politico, allora, il regista la rende metafora di un’umanità irrequieta, fatta di anime in costruzione, anime fra cui ci piace pensare che ci sia anche la sua.
Imbruttita da moderni grattacieli e tormentata dal rumore assordante delle trivelle che si mescolano al muezzin, la città in cui si incontrano Oriente e Occidente è autentica come poche volte lo è stata sul grande schermo (altro che location per un Bond Movie!) e potrebbe essere il nuovo punto di partenza per un autore che, invece di “muoversi rimanendo fermo” (cit.), ha scelto di partire, e che, a chilometri e chilometri di distanza dalla sua bella casa nel quartiere Ostiense, si è interrogato, come mai aveva fatto prima, sul sigificato della solitudine. (comingsoon)