The Sanctity of Space

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Mer 15/3 ore 20.30 VOS

Un film di Renan Ozturk, Freddie Wilkinson.
Documentario, durata 102 min. – USA 2021.

“Una lettera d’amore all’alpinismo e un sentito omaggio al più grande fotografo di montagna.”

A sud-est del massiccio Denali, nel cuore dell’Alaska, campeggia il Moose Tooth. La particolarità di questa montagna è il suo peculiare assetto morfologico, essendo formata da più vette disposte su un lungo crinale. Sebbene ognuna delle vette del Moose Tooth sia stata scalata, Freddie Wilkinson, co-autore del film, insieme a Renan Ozturk, si rende conto che non c’è traccia di alcun alpinista che abbia compiuto una traversata completa del massiccio passando lungo il crinale. Per la riuscita di questa impresa, Wilkinson, insieme agli irriducibili compagni Renan Ozturk e Zach Smith, investirà tutte le sue risorse e dieci anni della sua vita.
The sanctity of space, perciò, è sì una storia di alpinismo ed esegesi di un’impresa memorabile, ma senza tralasciarne gli aspetti più cupi, arrivando a parlare di ossessione, di fallimento e di morte. Emblematica e destinata a restare impressa nella mente degli spettatori è la sequenza dove Renan viene portato via d’urgenza in elicottero, dopo aver rimediato una grave commozione cerebrale su una pista da sci. Mentre i medici ne appurano il gravissimo stato clinico, dovuto dall’emorragia cerebrale in atto, Renan, con un filo di voce, non riesce a nascondere il suo rammarico per la spedizione sul Moose Tooth a cui avrebbe dovuto prendere parte di lì a poco. Nemmeno un trauma così grande, come può essere un’esperienza di premorte, riesce a smuoverlo dalla sua inossidabile smania di portare a termine la sua scalata.
The sanctity of space racconta dunque la storia di tre uomini che cercano di convivere con un demone, quello dell’alpinismo. Sanno fin troppo bene i rischi che corrono, hanno visto decine di amici morire soffocati sotto una slavina o spiaccicati in fondo ad un crepaccio, ma ciononostante non possono farne a meno, perché è questa la loro natura. D’altronde la stessa etimologia della parola felicità non fa che assecondare la loro scelta di vita: eudaimonìa in greco, significa letteralmente stare in buona compagnia con il proprio demone. E da qui la sacralità dello spazio: per certe persone questo mondo è troppo chiassoso, la pace si può trovare solo in cima a una montagna, a un’altitudine tale da essere proibitiva perfino per le aquile. Come dirà lo stesso Renan, quello è l’unico posto in cui è possibile ascoltare veramente i propri pensieri.
Questa scelta di vita così radicale, la loro irriducibilità nell’affrontare le sfide, per non parlare del rapporto che intrattengono con il paesaggio ma anche (e soprattutto) la maniera in cui riescono a traslare tutto ciò in puro cinema, dona a questi personaggi dei tratti tipicamente herzoghiani. Penso in particolare ai vulcanologi Katia e Maurice Krafft, protagonisti (e co-registi oserei dire) dell’ultimo capolavoro di Werner Herzog, The Fire Within: A Requiem for Katia and Maurice Krafft. In entrambi i film assistiamo alla parallela metamorfosi di due alpinisti, in un caso, e di due scienziati, nell’altro, in veri e propri registi, con una loro idea di immagine e un loro personalissimo e sacro rapporto con il paesaggio.
Alla base sta una sorta di patto di sangue, stretto con la natura e con la proprio scelta di vita. Le conseguenze di questo patto vanno accettate incondizionatamente, e la tragica e struggente morte di Katia e Maurice in Giappone ne è un esempio lampante. Ma a prescindere da quello che può accadere, Renan e Freddie sanno che i loro occhi custodiranno per sempre le luci sfavillanti di tutti i ghiacciai che hanno raggiunto, e quella bellezza basta e avanza per dare un senso alla vita. (MYmovies)